I teatrini della vita degli oggetti
Francesco M. Cataluccio
Soltanto nelle botteghe degli artigiani e negli studi degli artisti, abitati da visionari creatori e venditori di bellezza, la materia sembra assumere le vere forme alle quali era destinata. Come mostrano le incompiute possenti statue del ciclo dei Prigioni di Michelangelo Buonarroti, le figure sono già dentro la materia e aspettano soltanto la scintilla della creatività per essere liberate. “La materia è l’entità più passiva e indifesa del cosmo. Ognuno può plasmarla, modellarla, a ognuno essa obbedisce. Tutte le organizzazioni della materia sono instabili e fragili, facili a regredire e dissolversi. [...] Non esiste una materia morta, la morte è solo un’apparenza dietro cui si celano ignote forme di vita. La gamma di queste forme è infinita, i toni e le sfumature inesauribili”. Così scriveva lo scrittore ebreo polacco Bruno Schulz nel suo fantasmagorico libro Le botteghe color cannella (1934). Come suo padre Jakub, protagonista dei racconti, che nella bottega di tessuti all’angolo della piazza principale di Drohobycz, nella Galizia orientale, inventava forme folli e mirabolanti, Guido De Zan, nella sua bottega-laboratorio di fianco alla chiesa di San Lorenzo, nel centro di Milano, in mezzo “alla confusione degli attrezzi sugli scaffali e al calore del forno”, crea oggetti che sono pezzi di un bizzarro e poetico teatrino della materia che prende vita.
È difficile sottrarsi alla suggestione di ricercare l’origine dell’arte creativa di De Zan nel decennio da lui trascorso, negli anni ’60, a lavorare come educatore in un centro del Comune di Milano per ragazzi con disabilità mentali. Nell’opera di assistenza, l’incentivo alla creatività manuale, attraverso la produzione di vasi di ceramica, era un elemento pedagogico e di sostegno assai importante. La materia, plasmata con le mani nella pasta umida, gira sul tornio, sale e prende forma come un serpente a sonagli che si desta al suono ripetitivo del suo incantatore. L’artista e il folle hanno il dono di liberare le forme dalla materia. La differenza la fa la tecnica. L’artista si impossessa degli strumenti più adatti per estrarre le forme più belle e appropriate.
Come Vulcano nel proprio antro, De Zan nella sua disordinata bottega ama spingersi ai limiti del calore, sperimentando diversi utilizzi del grès e della porcellana. La tecnica vasaria giapponese del raku ha dato a De Zan la chiave per far accendere le forme nella cottura più giusta anche se rischiosa. Ma De Zan non ha imparato soltanto dall’arte giapponese. Ha saputo appropriarsi delle tecniche delle parti più diverse del mondo: dai laboratori artigiani a Montefiore Conca (Romagna) a Framura (Liguria), da La Borne a Taizé in Borgogna (dove operava il frate Daniel de Montmollin, influenzato dallo svizzero Philippe Lambercy).
I vasi creati da Guido De Zan hanno le forme più stravaganti e varie: vasi spigolosi, curvi, prospettive, figure, sogliole... A volte fanno dubitare di poter stare in equilibrio. Ma la loro vitalità e originalità sta nei graffiti che percorrono la loro superficie (e mi ricordano il segno pittorico di Tullio Pericoli). Come le bottiglie nei dipinti di Giorgio Morandi, ad un certo punto i vasi di De Zan hanno iniziato ad accostarsi e raggrupparsi. Queste “nature morte” sono dei dispositivi per vedere: siamo noi che con esse vediamo e superiamo l’eccesso di visività che ci circonda. Abbiamo un grande bisogno di selezionare per fare ordine nel caos di ciò che vediamo: artisti come Morandi e De Zan ci forniscono dei punti di appoggio con le loro nature di oggetti morte che sono una sorta di “totem domestici”.
Le nature morte sono delle messe in scena. Gli oggetti diventano simulacri di personaggi che, con le loro forme, ci restituiscono il teatro della vita. I Teatrini con forme geometriche, ma anche le Torri (sorta di ziggurat composte di segmenti sovrapposti a piramide), i Paesaggi (colline-nuvole disposte su vari piani come quinte di una scena), le Cattedrali e persino i Percorsi (scatole di porcellana dove fluttuano linguette che paiono danze di pesci), sono oggetti in movimento. Affiancano i lavori chiamati Teatrini della vita che fanno pensare alle opere di Fausto Melotti: telai di legno che contengono personaggi diversi che si prendono ciascuno un ruolo, come nei presepi.
In tutti gli oggetti creati da De Zan, sia singoli che accostati tra loro, domina un senso straordinario di leggerezza. In questo “alleggerire la materia” sta il senso più profondo del lavoro di De Zan che produce oggetti di un’allegria malinconica, colori smorti ma mai freddi, liberi da ogni condizionamento della materia, capaci di concentrare l’universo in forme semplici e al tempo stesso assai elaborate. Un pulviscolo poetico ricopre questi oggetti che sembrano quasi staccarsi e distinguersi dallo sgomento del mondo.